domenica 21 novembre 2010

Contro la violenza sulle donne. Il 25 Novembre e sempre.



Il 25 Novembre sarà la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Uno degli aspetti peggiori di questo cancro sociale, che tra l’altro è uno dei criteri a mio avviso per valutare la civiltà di una società, è la violenza domestica. Subdola e pericolosa in quanto privata e spesso non denunciata. La solitudine accresce il dolore e il dolore accresce il senso di solitudine. Noi in quanto comunità, dovremmo cercare di fornire a tutte le donne in queste condizioni, gli strumenti necessari a spezzare questo triste circolo vizioso.
La donna di cui vi offro un’immagine furtiva nelle righe che seguono, potrebbe essere uno tra i tanti casi reali, purtroppo.


Imparò a contare nel silenzio i gradini. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici, dodici. Imparò a cogliere il rumore della chiave stridente nella toppa. Imparò a scoprire se aveva bevuto oppure no solo dalla cadenza regolare dei suoi passi. Imparò a cogliere il suo umore dal modo in cui la chiamava.
Imparò a coprirsi il viso con le mani e a piangere in silenzio. Imparò a rimangiare le sue grida di dolore. Perché, perché, perché, perché. Maledisse il suo passato amore e bestemmiò sul suo anello. Imparò l’arte del trucco e della dissimulazione. Inventò scuse per nascondere la sua vergogna. Nel giro di un mese era caduta dalle scale e urtato contro un mobile “per caso”.
Conobbe l’odio, un odio forte, come l’amore che non c’era più. Le avevano tolto suo marito, ora al suo posto c’era un uomo che non riconosceva più, brutto nella sua violenza, cattivo nella sua crudeltà. Gliel’avevano tolto lentamente, partendo dal suo lavoro. Quello gliel’avevano tolto senza preavviso. Un giorno era tornato a casa e gliel’aveva detto con gli occhi bassi: “L’azienda chiude, sono fuori.” Poi si era chiuso lui, nella sua depressione e nel suo fallimento.
Lei si accorse che aveva iniziato a bere dalle bottiglie di scotch vecchie di dieci anni, che sparivano dalla vetrinetta della sala da pranzo. Imparò a non fare domande, pregando che tutto sarebbe passato. E invece non passò, anzi la depressione covò la sua rabbia. Esplose una mattina davanti al caffè che lei gli aveva preparato nell’ultimo sforzo d’amore. “Questo caffè fa schifo”. Non era mai accaduto che usasse quelle mani per farle del male. Quelle mani erano state delicate e rassicuranti, un dolce rifugio e una calda sicurezza. Si erano chiuse in abbracci, l’avevano sollevata e carezzata.
Invece quel giorno le usò per farle del male. Fu l’inizio della fine. La fine di un amore, la fine della complicità, la fine di tutto. La fine di lei come donna e soprattutto di lui come uomo.
E ora si trovava raggomitolata sul letto, le ginocchia livide, chiuse sul petto. Come una bambina che vuole proteggersi da un incubo, esausta e impaurita. Una mano sotto il cuscino, il volto inondato di lacrime, il labbro gonfio. Nell’altra mano il telefono, nella cornetta una voce sicura: “Pronto Polizia, mi dica…”