mercoledì 3 novembre 2010

Al peggio non c'è mai fine



Mi chiedevo, qualche riga fa, cosa servisse ancora. Non ho fatto in tempo a darmi risposta, perché ci ha pensato il “nostro” Presidente-vergogna. Ha pensato bene di togliersi dall’imbarazzo, sprofondandoci ancora di più. “Meglio guardare le belle ragazze che essere gay”. Quando l’ho letto non volevo crederci, ho dovuto sentirlo e guardarlo con i miei occhi. Ha detto proprio così. E allora penso che al peggio non c’è mai fine, se il Capo del Governo, che trasforma una sede pubblica in un ritrovo orgiastico e fa passare nepotismi come atti di solidarietà, legittima le sue azioni con battute omofobe. Sale su un piedistallo, con la sua faccia di bronzo e davanti al microfono sputa in faccia a mezza Italia. Sì perché con una battuta del genere, che tutto fa tranne che ridere, sputa in faccia in primis a chi ha un orientamento sessuale diverso dal suo, poi a tutte le “belle ragazze” che si diverte a guardare, come oggettistica d’ornamento per le sue stanze da imperatore pervertito e poi a chi non è soddisfatto del proprio Paese e crede ancora, ingenuo, che i politici dovrebbero fare qualcosa per cambiarlo, invece di passare le notti in festini e baccanali.
Ora vorrei fare una cosa. Andare casa per casa da tutti quei nostri colleghi elettori che hanno permesso questo scempio. E chiedere loro cosa ne pensano. Mi parleranno del fatto che non c’è un’alternativa, che la sinistra sopravvive in pochi rari esemplari, come Nichi Vendola, arroccato come una stella alpina sul pendio in tempesta. Mi parleranno da qualunquisti: “Sono tutti uguali, non ti credere…”. Mi parleranno di montature e finzioni. Mi diranno che “almeno lui qualcosa l’ha fatto”. E io rimarrò in silenzio, impietrita sui loro usci, paralizzata dal rancore e dalla disillusione. Chiuderanno le porte e torneranno alle loro vite, così come stasera il Pres-vergogna tornerà nella sua villa, chiuderà le porte e, portafoglio alla mano, si barcamenerà in qualche patetica lezione orale. E non mi riferisco ai soliti discorsi stavolta.

lunedì 1 novembre 2010

Un Premier-vergogna e un Paese che non s'indigna



Cosa serve ancora? Per scatenare l’indignazione e la vergogna non basta neanche
questo? Tra nepotismo, sessismo, bugie e gossip nazionale, quante altre Ruby, D’Addario, Noemi serviranno? La nostra più alta figura governativa dopo il Presidente Napolitano è un uomo che si barcamena tra festini notturni in luoghi istituzionali, telefonate salva-finte-parenti di capi di Stato e, nel mezzo, qualche rassicurazione ai ribelli campani, sommersi dai rifiuti.
Il problema, tuttavia, non è questo. Questo è solo un aspetto. L’aspetto di un Paese malato, lo stesso Paese che fino alla scorsa settimana passava le giornate a domandarsi come sarebbe finita la mini-fiction sulla povera Sarah. È un Paese che non si ribella, che anzi appoggia un’etica della corruzione, del favoritismo, del “io ti do il posto, tu che mi dai”. E quanto è difficile, ogni mattina, svegliarsi e affrontare una giornata di lavoro, di studio, con questi presupposti, con questa sfiducia nella propria Nazione.
È finito il tempo del Patriottismo, ed è meglio così. Ma non c’è più interesse nemmeno nel salvaguardare, un minimo, l’immagine di noi Italiani nel mondo. Si, perché il nostro Presidente del Consiglio dovrebbe essere il nostro primo rappresentante. E, scusate, ma non mi sento rappresentata nemmeno un po’ quando se ne va in giro per il mondo a snocciolare barzellette al limite dell’offensivo.
Beh, il peggio è che dovremo arrenderci, tutti noi giovani che crediamo nel lavoro, nello studio, nei sacrifici, nel rispetto del proprio corpo e della propria persona. Dovremo arrenderci al sistema, o rinunciare ed emigrare. E questo, sia ben chiaro, non per colpa del nostro Signor B. Ma per colpa di un Paese che si è già arreso e non s’indigna più, non si ribella, per quante Ruby, D’Addario, Noemi possano scoprirsi domani.

domenica 31 ottobre 2010

Facebook: un mondo alternativo.



Non è una novità del nostro secolo, né del nostro decennio, l’ambizione dell’uomo ad andare oltre la realtà quotidiana, sovrapponendone una immaginaria o fondata su categorie alternative. Il fenomeno religioso è l’esempio per eccellenza di come sia necessità di ogni uomo quella di inquadrarsi in un sistema ulteriore, in un progetto, in un disegno, in una realtà immaginata diversa rispetto a quella che si vive effettivamente. Calando il discorso nella nostra società, questa tendenza si evidenzia, ad esempio, nell’adesione a mode o costumi diffusi ormai su scala globale. L’ambizione di inserirsi in sistemi basati su categorie alternative e condivise, si concretizza nell’adesione del singolo ai vari reticoli che oggi compongono l’immaginario della società.
E quando sento parlare di fenomeni di impatto globale, in questo caso facebook, non posso che spiegarne il successo in questo modo. Non è sufficiente, a mio avviso, soffermarsi sull’utilità primaria della rete Fb, cioè quella di “Connettersi e rimanere in contatto con le persone della propria vita”, come detta lo slogan della homepage. Certo, questo della comunicazione rapida, gratuita, che vince spazio e tempo, è un grande pregio della rete Fb. Ma non è una sua prerogativa. Da anni il web è tempestato di chatrooms, forum e programmi da scaricare facilmente per “rimanere in contatto” con altri utenti. Primo fra tutti Messenger, chat arricchita da una selezione preventiva dei contatti e varie opzioni per rendere più stimolante la conversazione.
Facebook quindi, se si limitasse a questo, sarebbe un fenomeno comune, nulla di nuovo. In realtà, secondo me, la forza di questo Social Network sta tutta nell’aver saputo risvegliare la tendenza comune delle persone a inserirsi in un contesto diverso dalla realtà solita, quotidiana. Nello specifico, Facebook è proprio la concretizzazione del sogno di un mondo parallelo, legato certo al quotidiano, ma svincolato il tanto che basta per farci rapportare con gli altri in maniera “pensata”. Cioè a dire, nella mia vita reale non posso scegliere come mostrarmi, o magari posso agire limitatamente per costruire l’immagine che gli altri si fanno di me, mentre su Facebook ho questa potenzialità. Ho la mia finestra sul mondo che mi permette di aggiungere, togliere, migliorare, radicalizzare aspetti di me proponendo quindi agli altri un “ME SCELTO”, non più spontaneo.
Si potrebbe ribattere che, in ogni caso, sia nella rete, che nella vita quotidiana, si è sempre artefici della propria impressione sugli altri. La differenza, secondo me, sta nel circolo vizioso che si viene a creare laddove posso scegliere, ponderatamente, COSA mostrare di me agli altri, COME mostrarlo, consapevole di come può essere percepito. Mentre nella vita di tutti i giorni è molto più difficile, se non impossibile. L’uno è un meccanismo statico quasi, di scrittura, lettura e ricezione. L’altro è un meccanismo dinamico, che coinvolge un’infinità di altri fattori e non può in questo modo essere controllato a priori.
Insomma, il successo di Fb, per quello che mi riguarda, sta tutto nell’aver saputo offrire un mondo alternativo rispetto a quello reale, con AMICI, GUSTI, IMMAGINI che si possono scegliere a tavolino. E proprio in questa misura mi sento di rigettarlo, non nella veste di mezzo di comunicazione, ma come vetrina alternativa alla vita reale.