sabato 13 novembre 2010

Commissione Bilancio: i numeri distruttivi della Gelmini




Bastano tre numeri per farci incazzare: 245 800 e 100. Rispettivamente milioni di euro destinati a SCUOLE PARITARIE, Università pubblica e 5 per mille. Cara Gelmini, non riesci a vergognarti neanche un po’? Me lo chiedo ogni tanto, se quando torni nella tua camera, ti metti le pantofole Vuitton e ti guardi allo specchio per struccare quella faccia da strega, la senti un po’ di vergogna. Solo 800 milioni a un’università che arranca, che fa il taglia e cuci per sopravvivere, che non ha soldi per i ricercatori (tra l’altro il vaccino della Ensoli per l’HIV sembra funzioni, una bella notizia, condita però dalla paura che non ci saranno soldi per continuare la sperimentazione), mentre 245 milioni per le scuole paritarie. E solo 100 milioni all’associazionismo. Come a dire, vedetevela un po’ da soli. Primo giorno in commissione Bilancio alla Camera con queste proposte. Non ci sono soldi, perché così ci dicono, però passare da 130 milioni a 245 milioni alle scuole private ce la si fa. E certo, calpesti istruzione e servizi sociali, tanto che importa a Maria Stella e compagnia, cultura e sussidiarietà non valgono nei giochi di potere.

venerdì 12 novembre 2010

Di nuovo Pogge e altre riflessioni




Scrive Pogge, a proposito del materialismo storico di nonno Karl, a pag 7 del suo illuminante libro (“Povertà mondiale e dirittti umani” Editori Laterza 28 Euro):

“E’ innegabile che i nostri interessi e la nostra condizione materiale influenzino le nostre idee su quel che riteniamo moralmente saliente, sulle nozioni di giustizia ed etica che troviamo attraenti e interessanti e sulle riforme che riteniamo realizzabili oppure utopiche. Consideriamo se sia ingiusto negare l’assistenza sanitaria di base ai cittadini perché non possono pagare. È più probabile che un povero trovi la questione più importante di un ricco. (…) La condizione materiale e gli interessi personali influenzano anche i giudizi concreti che ciascuno trae dai propri valori morali. Almeno inconsciamente le persone tendono a interpretare i loro valori morali a proprio favore (…)”

Questione questa, a dir poco dibattuta e controversa. Vorrei provare a lasciare sullo sfondo l’ambito morale, laddove per morale intendo l’approvazione o meno di comportamenti, di norme comuni, in base a un criterio etico condiviso da un gruppo sociale. Pogge infatti mi da lo spunto, nel mio flusso di coscienza quotidiano, per soffermarmi su un problema diverso: quello della felicità, intesa aristotelicamente come realizzazione della propria vita. Per onestà, diciamo intellettuale, devo mettere in chiaro che approvo l’idea che la morale di un individuo, o meglio, di un gruppo, sia il risultato, oltre che di altri fattori, anche della posizione socio-economica che quell’individuo o gruppo si trova a ricoprire. Spingendomi oltre, e qui nonno Karl mi strizza l’occhiolino, credo fermamente che la condizione socio-economica di un individuo sia uno dei fattori principali per la realizzazione della sua felicità. Sia ben chiaro, non voglio intendere banalmente ricchezza=felicità o ancor peggio elevazione sociale=felicità. Voglio prendere il tutto da un’altra prospettiva. Cioè non penso assolutamente che la ricchezza comporti felicità, ma penso che la non-povertà, non-indigenza o semplicemente una condizione di moderato benessere, siano un ostacolo in meno al raggiungimento della felicità, intesa sempre come realizzazione dell’uomo nella società che conosciamo. Se continuo il mio ragionamento, di nuovo sottolineando come per felicità intendo realizzazione personale a tutto tondo, che coinvolga rapporti umani, possibilità creativa, libertà espressiva, di movimento, di conoscenza, viene da sé che, nella nostra società, tutto ciò è possibile o meglio, è facilitato da una condizione economica non disagiata.
E adesso arrivo al punto. Credo che la vita a nostra disposizione sia una o meglio, questa di certo ce l’abbiamo. E non concepisco l’idea che una persona possa trascorrere la sua vita nel sacrificio e negli stenti, o semplicemente debba vivere lo stress economico che non gli permette di fare ciò che vorrebbe o di sviluppare se stesso in modo adeguato. Qui i teorici dei “due cuori e una capanna” potrebbero snocciolarmi esempi su esempi di felicità nate nel sacrificio e ci credo pure perché le ho conosciute e le apprezzo ancor di più. Non credo che sia impossibile sviluppare e realizzare se stessi felicemente anche con il costante peso del denaro (o meglio del non denaro), credo che però non sia giusto che un uomo o una donna debbano passare il proprio prezioso tempo spaccandosi la schiena e sottraendo tempo ed energie alla realizzazione di loro stessi. Mentre una ricca signora imbellettata e magari mantenuta dal ricco marito può dedicarsi alla pittura, leggere i suoi libri preferiti e spalmarsi un’antirughe costosissimo prima del tè con le amiche.

giovedì 11 novembre 2010

Un profumo, un ricordo




Passeggiando assorta nei miei pensieri e isolata dal mondo grazie a quella meravigliosa invenzione che è l’i-pod, oggi ho avuto un flash. Un profumo noto, conosciuto, familiare, ha superato il limite imposto dal mio raffreddore e mi ha colpito. Era una signora, di cui ho visto solo la schiena. È passata a qualche metro da me e in un istante il suo profumo mi ha portato alla mente la mia maestra delle elementari, donna bellissima e austera e con lei, il ricordo dei sentimenti a questa figura associati.
Questo fatto, apparentemente insignificante, mi ha fatto tanto pensare. Certo, non è la prima volta che succede. Spessissimo sentendo un odore la mia mente vaga e si collega a situazioni vissute, a persone incontrate, ad attimi del passato. Mi ha sempre affascinato l’idea che un impulso sensoriale, tra l’altro involontario, quale è l’olfatto, possa provocare un ping pong di riferimenti mentali e scatenare la tempesta del ricordo.
Ma la cosa che mi stupisce anche di più è che, in determinate circostante e concentrandomi un po’, io, come penso chiunque, riesca a ricordare un profumo, al punto di riuscire a sentirlo.
Nella vita mi muove un istinto pragmatico, scientifico e causale, perciò credo che la ragione di tutto ciò sia biologica, fisica. E navigando in cerca di riferimenti che potessero aiutarmi a sbrogliare la matassa, mi sono imbattuta in una pubblicazione che spero sia illuminante. Si chiama “Il naso intelligente”, un libro scritto da Rosalia Cavalieri, docente di Semiotica e Teoria della comunicazione. L’editore è Laterza ed è uscito nel 2009. Tra l’altro mi pare di ricordare che, appena uscito, fosse stato consigliato da Repubblica.
Provvederò a comprarlo al più presto sperando che possa soddisfare la mia curiosità, certa che conoscere le ragioni scientifiche per cui un fenomeno accade, non limita in alcun modo il fascino di quel fenomeno, al contrario lo accresce.

lunedì 8 novembre 2010

Dall'altra parte del mondo



Leggendo Thomas Pogge, “Povertà mondiale e diritti umani” (Editori Laterza, 28 euro) sono rimasta sconvolta e sconfortata. Di quello sconforto che solo i numeri sanno dare.


E per condividere la mia profonda tristezza vi riporto i passi salienti di ciò che ho letto:

“Nel 2005 il 21% di tutti gli esseri umani viveva al di sotto della linea della povertà estrema.(…) Si stima che il 15% della popolazione mondiale soffra di denutrizione cronica, che il 13% non abbia accesso all’acqua potabile, che il 37% non abbia accesso ai servizi sanitari di base. Circa il 14% non ha una dimora; circa il 30% non ha accesso ai farmaci essenziali e il 24% non ha energia elettrica; circa il 16% degli adulti è analfabeta e il 14% dei bambini di età compresa tra i 5 e i 17 anni è composto da bambini-lavoratori.”
“ (…) Le morti ordinarie per fame e malattie prevedibili sono state 300 milioni, soprattutto bambini, nei 18 anni dalla fine della guerra fredda. I nomi di queste persone, se elencati nello stile Vietnam Veterans Memorial, coprirebbero un muro da Detroit a New York, o da Vienna a Roma: lungo 480 miglia.”

Pogge, nel suo interessantissimo saggio, affronta il problema della povertà mondiale da un punto di vista morale, domandandosi perché i cittadini degli Stati ricchi dell’Occidente non lo trovino moralmente preoccupante.
Lo consiglio fortemente.

domenica 7 novembre 2010

Tratto da "Eva Luna racconta" di Isabel Allende




"Ti toglievi la fascia dalla vita, ti strappavi i sandali, gettavi in un angolo l'ampia gonna, era di cotone, mi sembra, e scioglievi il nodo che ti stringeva i capelli in una coda. Avevi la pelle d'oca e ridevi. Eravamo talmente vicini che non potevamo vederci, assorti entrambi in quel rito urgente, avvolti nel calore e nell'odore che emanavamo insieme. Mi aprivo il passo per le tue vie, le mie mani sulla tua vita protesa e le tue impazienti. Sfuggivi, mi percorrevi, mi scalavi, mi avvolgevi con le tue gambe invincibili, mi dicevi mille volte vieni con le labbra sulle mie. Nell'attimo estremo avevamo un bagliore di completa solitudine, ciascuno perduto nel proprio abisso rovente, ma subito risorgevamo al di là del fuoco per scoprirci abbracciati nel disordine dei guanciali, sotto la zanzariera bianca. Ti scostavo i capelli per guardarti negli occhi. Talvolta ti sedevi accanto a me con le gambe raccolte e il tuo scialle di seta su una spalla, nel silenzio della notte che iniziava appena. Così ti ricordo, in quiete."