giovedì 16 dicembre 2010

domenica 12 dicembre 2010

Nello stomaco sei sempre solo. E pure nel ricordo. Riflessioni tra Kundera e Ligabue




Scorrendo la mia libreria o meglio, quella figlia che lentamente e con costanza mi sto crescendo, mi è capitato tra le mani un bell’Adelphi color cobalto: L’Ignoranza di Kundera. Questo libro mi è caro per più di un motivo: primo per cause contingenti, visto che l’ho trovato al mercatino dell’usato della mia città ed è sempre un piacere fare scoperte di questo tipo. Secondo, perché dopo aver letto l’Insostenibile leggerezza dell’essere, Kundera mi si è riconfermato geniale. Terzo, perché mi ha dato modo di riflettere su un tema affascinante ma non sempre considerato giustamente, cioè quello del ricordo. Più precisamente del ricordo soggettivo. E ultimamente ci sto pensando tanto a questa genialità colta da Kundera: molto spesso, anzi quasi sempre aggiungerei io, diamo per scontato che i ricordi che condividiamo con gli altri figurino nella mente degli altri con le stesse sfumature che hanno nella nostra. Salvo poi accorgerci, con un tonfo dalle nuvole, che non è così! E non lo è mai! Per il semplice fatto che la realtà la viviamo filtrandola attraverso di noi e per questo non è univoca. La stessa situazione può rimanerci in mente per un profumo o magari per un colore. A me per un profumo, a te per un colore. Ed ecco già che ci sono due ricordi diversi della stessa situazione. Per non parlare del bagaglio emotivo attraverso cui filtriamo le nostre esperienze e che è inevitabilmente diverso da quello di chiunque altro.
Ora ho deciso di non rimetterlo a posto questo libro. Me lo tengo qui, sulla scrivania, accanto all’agenda. Tra il telefono e il lettore cd. Così, come un promemoria alla vita. L’Ignoranza di Kundera, come l’ignoranza nostra rispetto ai ricordi degli altri, come l’ignoranza dell’altro rispetto al mio ricordo. E se a Sartre veniva la nausea a pensare quanto diavolo fosse solo in se stesso, quanto fosse insuperabile il suo solipsismo, e se pure Liga l’ha capito che “Nel mio stomaco sono sempre solo, nel tuo stomaco sei sempre solo, quello che senti lo sai solo tu”, userò Kundera proprio come promemoria di tutto questo.
Per evitare di cadere in illusioni grossolane, in delusioni ingenue, per evitare di rendere assoluto il soggettivo, di imporre al MIO ricordo lo statuto ontologico di “IL RICORDO” . Non esiste un ricordo assoluto. Esiste il mio. E il tuo. E non coincidono mai, ma proprio mai mai.

Educazione, arte, comunicazione. Cultura è panacea per l'Italia.




La cultura è l'urlo degli uomini in faccia al loro destino, sosteneva Albert Camus. E mi sento di interpretare quest’urlo come alternativa costruttiva rispetto alla finitezza umana. Cioè a dire, di fronte al memento mori dei monaci trappisti, possiamo opporre una ricchezza di vita costruita giorno dopo giorno con la cultura, intesa in senso lato come conoscenza del mondo umano in particolare e della natura in generale.
Di fronte a questa perla di Camus, è facile sentirsi atterriti in quest’Italia di inizio millennio dove la cultura, fresca di nuova vita popolare conquistata a duro prezzo nel Novecento, viene considerata alla stregua di un surplus rispetto alle esigenze della società. Specchio di questo atteggiamento è la politica scolastica e universitaria che è stata intrapresa da questo Governo e, per onor di cronaca, anche dai precedenti che si sono susseguiti. È miope, forse volutamente, chi non capisce come la cultura, soprattutto nella forma dell’educazione e del la formazione scolastica, sia la linfa vitale della nostra società.
Per cultura però si intende, oltre alla scuola, anche il patrimonio artistico che in Italia è fonte di ricchezza economica e non. E Pompei con i suoi crolli è solo l’ennesima dimostrazione dell’abbandono colpevole dei beni culturali del nostro Paese.
In ultimo, triste corollario di una situazione culturalmente arida, è il trionfo del nulla nei mezzi di comunicazione, primo fra tutti nella televisione. È paradossale come lo strumento meritevole di aver unificato in pochi anni un Paese linguisticamente diviso, sia diventato contenitore di nullità riuscendo a mettere in luce gli aspetti peggiori dell’immaginario collettivo, e non penso solo al Grande Fratello.
C’è però, bisogna dirlo, un’altra Italia, che nella cultura ci crede ancora e ci crede come bene pubblico da difendere ad ogni costo. È l’Italia degli studenti sui monumenti, dei ricercatori che vogliono ricercare, dei lavoratori che esigono di poter lavorare. È da questo segnale che si può e si deve guardare a un futuro ricco di cultura che sia pubblica, di tutti.
Su tre livelli quindi, dovrebbe rinascere il programma culturale del nostro Paese: Educazione, arte, comunicazione. Tre pilastri sociali su cui costruire il futuro, sfruttando la ricchezza del web.
Ci vorrebbe un Rinascimento del 2010 e forse la chiave di tutto questo potrebbe stare proprio nella rete, in Internet, oggi unico destinatario, oltre ai libri che non periscono mai, di una cultura popolare e capillare fruibile velocemente da tutti.
È questo l’augurio per il nuovo anno, sperando nel frattempo che la Camera martedì sfiduci Berlusconi, dando un messaggio positivo da cui ripartire.