lunedì 22 febbraio 2010

Radiofreccia e dio.






Premessa: chi scrive è a-tea, cioè senza dio. È il mio blog, quindi ci scrivo liberamente ciò che penso. Ma amo la dialettica e il confronto, quindi critiche benvenute!






“Credo che non sia tutto qua, però prima di credere in qualcos'altro bisogna fare i conti con quello che c'è qua, e allora mi sa che crederò prima o poi in qualche Dio.”


In questa semplice frase, pronunciata alla svelta di fronte al microfono di una vecchia radio di provincia, Freccia ha racchiuso uno dei problemi più grandi dell’umanità. Per provare ad analizzare certi problemi, bisogna cambiare prospettiva e solo in questo modo si può assumere un atteggiamento critico rispetto a ciò che ci riguarda più da vicino, a ciò dentro cui siamo anche noi.
Per fare un esempio, siamo talmente abituati a vivere con l’ausilio dell’elettricità che non ci poniamo il problema di come sarebbe diversamente. Nello stesso modo siamo così immersi in una società impregnata di religione, nel nostro caso cattolica, da non pensare che ci sono visioni del mondo alternative.
Ho aperto con la frase di Radiofreccia perché fa comprendere quale ambiguo rapporto ci sia nella mente dell’uomo tra la realtà mondana e quella soprannaturale, potendola definire così. Tra il mondo, inteso come esperienza sensibile, e un ipotetico dio. È così fortemente radicata in noi l’idea di un mondo extrasensibile, ulteriore, finale, che siamo arrivati a definire poco ciò che abbiamo di fronte agli occhi, ciò che siamo realmente.
Freccia parte da questo presupposto: Credo che non sia tutto qua. E già da qui emerge da un lato il disincanto per il mondo in cui vive e dall’altro la speranza, spinta a credenza, che ci sia qualcosa di ulteriore, che quindi legittimi la pochezza di questo stesso mondo.
La spinta all’oltre d’inizio frase cade però di fronte all’esigenza di “fare i conti con quello che c’è qua”. Cioè a dire, potrebbe darsi che ci sia qualcosa oltre, voglio credere che sia così, ma non per questo posso dimenticare la mia vita reale, quella fatta di carne e sudore.
Ma il passo decisivo è a fine frase, quando Freccia, data un’occhiata al mondo e visto che non è abbastanza, “misà che crederà prima o poi in qualche dio”. È proprio questa la dimostrazione che in maniera circolare chiude il ragionamento. “Io so che devo fare i conti con quello che c’è qua, non posso dimenticarlo per un oltre che non vedo, eppure proprio il dolore di ciò che vedo, mi spinge a credere in qualcosa d’altro.”
Una sconfitta nella sconfitta. O meglio un ammettere la sconfitta, rispetto all’impossibilità di vivere la vita reale. Perché se la frase fosse finita senza quel “e allora mi sa…” sarebbe stata una vittoria. Credere, prima di tutto a quello che c’è davanti agli occhi, ogni dannato giorno.
Peccato che gli uomini e le donne, da millenni a questa parte, non hanno avuto il coraggio di guardare in faccia la realtà, abbandonandola o, peggio ancora, finalizzandola a un futuro immaginato grazie a fantomatiche allegorie di vari testi sacri. Rispetto a questa esigenza poi, c’è chi è riuscito nell’intento di trovare uno scopo ulteriore alla vita presente e accetta in quest’ottica con una serena rassegnazione ciò che gli succede, perché tassello di un ipotetico progetto più vasto. Ma c’è anche chi non ci riesce, si chiude in una fede per vivere quei momenti di conforto immaginario, fermo restando il ricadere poi nello sconforto più totale alla prima difficoltà.
Per i primi, beh, beati loro. Hanno trovato la felicità, certo in un mondo di cartone, ma sono felici. Felici nella rinuncia magari, nel sacrificio, ma soprattutto felici per la speranza che hanno. Per gli altri però non è così semplice, anzi, la fede spesso diventa un peso in più da sostenere, un problema da spiegarsi e non un conforto. E allora a che scopo?
Poi ci sono altre persone( e io mi sento tra queste) che non ci credono a “qualche dio”. Pur avendo vissuto in un mondo così fortemente religioso, non sono riuscite a creare una loro coscienza di fede. E come negli altri casi ci sono pro e contro. Come sarebbe bello, ad esempio, avere la certezza di rincontrare quelli che se ne sono andati per sempre. Avere la certezza che la bontà “viene sempre premiata” e che i cattivi prima o poi avranno ciò che spetta loro. Sarebbe rassicurante. D’altra parte però, chi non è imbrigliato in religioni confortanti, ha un mondo molto più ampio davanti a sé. Ne ha uno in meno certo, ma molto più ampio e pieno di sfumature. Non c’è il peccato, ma la propria coscienza. Non ci sono dogmi, ma ragionamenti. Non ci sono dei, ma la natura. Non c’è il demonio, ci sono le persone cattive. Non c’è chi ha la verità in tasca, ci sono tante verità, diverse e per questo dialetticamente costruttive. Non ci sono costrizioni contro natura, solo scelte e piacere.
Come ho premesso, chi scrive è un’atea. Una senza dio, che dio neanche lo cerca né lo vuole, perché non serve. E se mi sarò sbagliata, beh, lo scoprirò quando sarà troppo tardi per tornare a cancellare la mia vita vissuta a pieno. Meglio così.

3 commenti:

  1. E' anche vero che senza credere in qualcosa ci sentiamo "perduti", che sia Dio, una persona, o noi stessi. Avere fede è importante... in cosa lo decidiamo noi! Ciao :)

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  2. Fortemente scristianzzata! Mi sembri una cittadina, figlia di quel '89 che ultimamente caro mi è costato. premetto ke il mio volgare modo di scrivere per nulla si avvicina alla tua infinita grazia e leggiadria letteraria.E' un discorso da uomo a uomo il nostro, da ateo ad ateo, il tutto incentratato sul bisogno di credere o sul bisogno di non dover credere. Io ritengo che siano solamente filosofie di vita, ma in opposizione alla tua tesi voglio apportare un mio pensiero. Basta pensare ad un rapporto, due persone che si amano, e che fanno dell'altro il riferimento o comnque un elemento essenziale delle loro nuova vita. La nostra esistenza è incentrata sulla ricerca di qualcosa che ci complenti, perchè il sentirci soli, il non dover rendere conto dinulla, non è nella natura umana; una coscienza è più o meno una dotazione di serie di ogni essere umano; e di umini privi di coscienza, i cimiteri con le loro epigrafi ne sono pieni, le strade ne sono piene, e le discariche anche. Chiunque possieda in se un barlume di quella preziosa ragione che ci ha portato al mondo tecnologico, ed ai missili balistici, non era volere di un Dio, ma solo esaltazione della ragione; ciò chenon c'è in una coppia che si ama, dove ragione e sentimento hanno una convivenza difficile e sono nemici giurati di sempre.Basta vedere una coppia priva di ragione, che portata all'estremo si rende ridicola ma non crolla; ed una coppia priva di fiducia, che poco dopo inevitabilmente implode.L'uomo ha bisogno di credere, di avere speranza giorno dopo giorno, e provare a spiegare ciò che non riesce a spiegarci la beneamata scienza;e provare con un semplice atto di fiducia rivolto a chi è più grande di noi, o semplicemnte a chi ci ha preceduti o forse a chi davvero non riusciamo a spiegarci o ad accettare, solo perchè diverso da noi, a credere ciecamente in qualcosa di astratto o paradossale. Ma i paradossi, io credo che esistano! :P* (se c sono orrori alle 2 e 30 dovevo essere in ufficio)

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  3. Per ogni nuova scoperta per ogni cosa che imparo, per ogni cosa che so di non sapere, per ogni cosa in cui ho già fallito, per tutto quello che ho già perduto, per qello che ancora devo cercare, per ogni giorno che sono ancora me stesso, per ogni giorno che non so se lo sono ancora. Grazie del dono della vita.

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